È un giorno malinconico per il calcio dilettantistico lodigiano. Marco Guarnieri appende le scarpe al chiodo e come ogni stella degna di tal nome decide di farlo quando la propria luce è ancora bella intensa nel firmamento: nessuna lotta ostinata contro il tempo, il momento delle scelte arriva e l’importante è saperlo cogliere. Guarnieri, insignito la settimana scorsa dai fedelissimi barasini del Club del Ponte del premio alla memoria di Enzo Scaini, saluta dunque tutti dopo aver ricevuto un riconoscimento che è la ciliegina sulla dolce torta dei tanti anni dedicati al pallone, Oscar a una carriera passata sui campi a fare gol (150 nei soli campionati, malgradoabbia agito raramente da attaccante puro) e a inseguire avversari (la sua prerogativa è stata proprio quella della generosità).Quasi 500 partite nei tredici anni al Fanfulla inframmezzati dalle due stagioni al Pergo e al Fiorenzuola per giungere, da tre anni a questa parte, in riva al Lambro sulla sponda santangiolina. Un “salto” forse inatteso, ma non per questo meno carico di nuove soddisfazioni: è sufficiente ripensare ai 21 gol della stagione scorsa nella quale Guarnieri è stato trascinatore del Sant'Angelo tornato in Eccellenza, per trovare conferma. Poi, in una domenica cupa, fredda e piovosa alle pendici delle montagne varesine, la dolorosa e brusca fine del viaggio cominciato 18 anni prima quando, 17enne, lasciò l’Azzurra per tuffarsi nel calcio che contava della “Dossenina”. A Besozzo contro il Verbano, era il 13 marzo, Guarnieri cadde a terra in un contrasto come tanti con tal Broccanello, ma rimase a terra e l’esperta mano del massaggiatore Silvano Magri subito tastò che si trattava di roba seria: frattura scomposta al perone della gamba sinistra, fu infatti la tremenda diagnosi. «A 35 anni credo che sia la volta buona per smettere - spiega adesso “Rume” - perché io pretendo sempre il massimo da me stesso e il solo pensiero di una stagione di sofferenza, col rischio di diventare un peso per squadra e società, è intollerabile. Il Sant'Angelo mi ha proposto di rimanere, ma ho declinato l’invito ringraziando comunque una società fantastica».Il legame con la piazza barasina è stato sin da subito fortissimo, basti pensare che proprio in questi giorni la dirigenza gli ha offerto la possibilità di restare all’interno della struttura Sant'Angelo anche in altre vesti: «Per ora ho detto di no - rivela l’ormai ex capitano rossonero - in quanto ho deciso di prendermi una pausa e guarire bene dopo l’operazione alla gamba. Ringrazio comunque di cuore Giuseppe Roveda e Cristiano Devecchi (rispettivamente presidente e direttore generale del Sant'Angelo, ndr), due persone vere che fanno della passione più pura il loro credo calcistico. Loro e i tifosimi hanno fatto innamorare della piazza barasina». E detto da un grande ex alfiere del Fanfulla... «Non ho mai nascosto di essermi lasciato male con l'ambiente bianconero - ricorda - e questi tre anni a Sant'Angelo hanno rafforzato in me alcune convinzioni. Odio essere retorico, ma la riconoscenza e l’umanità sono merci difficilissime da trovare, specialmente nel calcio, e io ho avuto la fortuna di incontrarle al “Chiesa”».Dall’alto di una carriera quasi ventennale e qualcosa come 150 gol, Guarnieri può permettersi di spiccare il volo e valutare da una posizione privilegiata i contorni di una vita trascorsa a sgambettare sul prato verde. L’allenatore più affine, i compagni più significativi, un raffronto tra il calcio di ieri e quello di oggi: i suoi pensieri, come si addice a chi può vantare del sale in zucca, mai scadono nella banalità. «Di mister ne ho avuti tanti, alcuni davvero preparati e altri meno, ma se devo fare un nome dico Diego Dellagiovanna. Un allenatore dotato di un’umanità incredibile, uno davvero capace di gestire un gruppo oltre a disporre delle doti tecniche di cui ha dato prova. Il suo unico difetto, se proprio devo, è di non sapersi vendere bene come invece sanno fare molti suoi colleghi che anch’io ho avuto come allenatori: gente scaltra a mascherare gli insuccessi e lesta a pavoneggiarsi quando le cose filano lisce». E se le orecchie di qualcuno avranno preso a fischiare, altri si allieteranno perché Guarnieri non dimentica ad esempio l'altro Dellagiovanna, il leggendario Silvio del Fanfulla: «Uno che anche se non toccava una palla per tutta la partita, alla prima mezza occasione di segnare non perdonava», ricorda, o sempre alla “Dossenina” la grinta e il cuore di Ciceri e Fettolini passando per la classe del trequartista Melotti nella stagione a Fiorenzuola. Quanto al calcio d’oggi, “Rume” si congeda con una riflessione: «Specie all'inizio della mia carriera c’era maggior rispetto e i valori erano più marcati rispetto a oggi, ma credo che sia una tendenza generale e non solo calcistica». Nostalgia canaglia? Forse per lui, di certo per tanti appassionati di calcio lodigiani, d’ora in avanti orfani dalle sue infinite corse e del suo sinistro implacabile. Ciao, Marco Guarnieri.
Matteo Talpo da Il Cittadino